di: Antonio Mammato *
"Attenzione all'artista che è anche intellettuale. È un artista che non si adatta". (Francis Scott Fitzgerald)
La vicenda artistica e umana di Nico D’Auria si configura esemplare e analoga a quella di numerosi altri artisti italiani, i quali contribuiscono a creare un'arte che sa esaltare, in quest’ epoca di profonde trasformazioni, sia la vita quotidiana, a volte caratterizzata da profondo malessere, sia l' immagine di una società che evolvendosi crea una nuova iconografia adatta a rappresentarla. Le suggestioni simboliste, ma soprattutto la mente eclettica dell’ artista, tracciano il sentiero sul quale si innesta la sua ricerca, focalizzando l’attenzione su numerosi aspetti, anche a seconda dei temi trattati, senza esimersi dall'evocare altri stili. La consistenza e la varietà della produzione del D’Auria è tale per cui ci è permesso, in questa sede, darne solo una breve enunciazione: merita e necessita, infatti, di uno studio lungo e accurato, che auspichiamo possa avvenire quanto prima. Ci limiteremo quindi, in occasione di questo suo esordio, ad una prima analisi di quanto ha maturato, in venticinque anni di attività, nella città che lo ha visto nascere, vivere e crescere artisticamente. Sottolineando qui, sia pure di sfuggita, come questo suo elevarsi culturalmente (anche attraverso numerose e significative esperienze all’estero), rappresenti la stessa ed identica strada percorsa, non solo da una moltitudine anonima di italiani ma anche ad uno svariato numero di artisti. Alcuni dei quali hanno avuto il privilegio di confrontarsi con lui proprio sul suo stesso terreno.
La stessa scelta di vivere nella sua Minori, paese tanto tormentato e difficile, rende la sua esperienza esemplare di un atteggiamento atipico per l'epoca in cui viviamo, epoca in cui intellettuali e uomini di cultura preferiscono maturare esperienze in contesti più fecondi, realtà più dinamiche e coinvolgenti. Altrettanto importante, sia pure apparentemente meno imponente, sono le testimonianze di vita e le immagini, alcune delle quali offrono numerosi spunti di riflessione, della società che lo vede protagonista. Ed è per me fondamentale sottolineare come le sue opere riflettono i suoi stati d’animo, un arte che racchiude tutto quel bagaglio di sofferenze, legate ad un vero e proprio dramma esistenziale; il dramma di un genio costretto a vivere una serie di esperienze fortemente limitanti per il suo pensiero.
Va altresì evidenziato come questa sofferenza viene avvertita ancora di più se si ripensa ad un passato sicuramente molto più stimolante; più volte abbiamo avuto modo di apprezzare i suoi aneddoti relativi ai brulicanti anni ’80, ai i modesti anni ’90 e ai deprimenti giorni che caratterizzano la vita di non pochi nostri concittadini. Spesso dalle sue esternazioni viene fuori un quadro della società in cui vive molto colorito, l’impressione che tutti colgono è quella di essere di fronte ad un genio artistico immerso in una comunità per lui indigena, oserei dire estranea, sebbene profondamente studiata e analizzata nelle sue diverse forma ed espressioni. La tanto agognata estate minorese, momento di ritrovo per artisti, intellettuali, uomini politici, per la maggior parte originari dell’agro nocerino sarnese e del napoletano, uomini che contribuiscono a creare un ambiente culturalmente ricco, fertile e vivace, ed è in questo terreno che il D’Auria trova la linfa vitale per creare i suoi capolavori. Al D’Auria non sfugge nulla di questo animato via vai: un occhio, il suo, distaccato ma non estraneo, colmo di curiosità, che lo spinge a riflettere su ogni aspetto della piccola città, cosmopolita e marinara allo stesso tempo. E così i giochi d’acqua, i venditori di pesce, le paranze colorate sul molo, l'eleganza delle ricche signore e i gesti delle popolane, tutto viene catturato dalla sua grande abilità di osservatore. Un universo che però muta radicalmente con l’inizio dell’autunno, lasciando nell’animo dell’artista un vuoto colmato solo da quell’angoscia che forse rappresenta, però, la sua vera felicità.
La mostra "Introspezioni", vuole essere l’occasione per apprezzare il genio creativo di un uomo che sicuramente risente dei limiti culturali e sociali della comunità in cui vive, limite che riesce facilmente a superare grazie al suo carattere eclettico e al suo stile confusionario (come egli stesso lo definisce). Il risultato è un fresco e vivace "filmato" della sua epoca, libero da ogni pregiudizio sia sociale sia stilistico, una rappresentazione fedele al suo spirito.
Insomma un artista che la dice lunga ma probabilmente ha ancora detto poco.
* dottore in storia medioevale, Presidente del Centro di cultura e storia "Pompeo Troiano"
mercoledì 19 agosto 2009
domenica 16 agosto 2009
Lo "spiaggismo", un'(allucinata) ipotesi interpretativa
di: Massimo Gambardella *
Un lascito del secolo appena trascorso - la scomparsa e la sconfitta di tanti -ismi che ne hanno segnato il corso - sembrava averci allontanato dai sistemi totalizzanti, capaci di strutturare in toto la visione della società, proponendo modelli assoluti, completi, pronti ad offrire una risposta per tutto e tutti, vere e proprie panacee per ogni male; sistemi fondati su una ipotetica e mal interpretata idea di solidarietà per il gruppo, di umile servizio per supremi destini.
Questa consapevolezza, largamente accertata dagli studiosi e avvertibile ancor più in momenti di così grande incertezza, non ha eliminato per altro la concreta possibilità di scoprire ancora, tanto in lande desolate come in plaghe così battute dal "commercio con la gente", strani e singolari modelli di pensiero, figli di una religiosità tutta laica, che nulla concede a ciò che non sia materia. Un esempio ne è lo spiaggismo, articolata Weltanschauung che ha trovato concretezza in una forma d'espressione assolutamente sconosciuta ai più consapevoli circuiti artistici, ma, non di meno, capace di covare sotto le ceneri, pardon, sotto le polveri della Costa d'Amalfi, pronta a far capolino e a far parlare di sé e a far discutere, ormai da anni, nei mesi in cui maggiormente la sferza del sole chiede il conto. Unico interprete, oltre che ideatore, ne è quel Nico D'Auria, raro artefice locale, che non manca mai all'appuntamento con il pubblico di fedeli e appassionati cultori della sua arte.
Lo spiaggismo rivela fin dalla sua stessa etimologia l'origine marinara, forse - si potrà sostenere fin d'ora - mercantile: ha precisi luoghi d'incontro, netti sentieri di espressione, chiari momenti di manifestazione.
È la terra inesplorata da una notevole schiera di artisti che pur ha frequentato o frequenta la Costa d'Amalfi; un modo singolare di rapportarsi a quel grande ispiratore qual è il mare, per dare forma e risposta - secondo le tecniche dell'intaglio o della macchia, della nuance o della ceramica - alle più concrete domande degli appassionati cultori.
Ed è da questo primo imprescindibile aspetto che bisogna partire per una corretta lettura dell'opera del Nostro. Essa infatti nasce dalla gente e, soprattutto, per la gente, nulla concedendo a stimoli puramente spirituali, a sollecitazioni profonde dell'anima. É un'arte fortemente volta all'essenzialità, alla più concreta praticità, senza arzigogolate astrazioni mentali fini a se stesse; è un'arte che parla il linguaggio dei suoi cultori, aperta agli stimoli, alle urgenze - si direbbe - che interessano i frequentatori dei luoghi.
Nico è l'artista delle genti, pronto a soddisfare i suoi fruitori: da questo punto di vista è un apostolo del feedback, del continuo riscontro con il suo pubblico; è, in sostanza, un degno figlio della società della comunicazione.
E in questa attenzione quasi morbosa per l'altro, trova modo di manifestarsi anche la cifra più profonda della sua opera: la sofferenza. In una recente intervista, il Maestro ha testimoniato che la sua "è un'arte malinconica, capace di racchiudere tutto il dramma di un uomo costretto a svolgere un vile lavoro, impossibilitato a dedicarsi ad altro". Con queste parole D'Auria conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno, di essere perfettamente presente a se stesso, conscio di non potersi sottrarre ad un ruolo che gli è stato cucito addosso. "L'artista vorrebbe andare lontano, vorrebbe fuggire da questa condizione di vita drammatica...ma, come disse qualcuno: questa è una prigione senza cancelli...è difficile uscire da questo involucro". Questa toccante testimonianza sintetizza l'amaro destino di un uomo, un Ulisse cui è stata tolta la possibilità di soddisfare le più ardita e miracolosa qualità concessagli: la sete di conoscenza. Nico vorrebbe, ma non può, è ingabbiato in un ruolo, ma è in questo ruolo che dà prova della sua sensibilità. É il suo ulissismo represso, coartato, a determinare la sua arte: "Noi coltiviamo per tutta la vita la speranza della fuga (una fuga animata da sicura tensione conoscitiva, si dovrebbe aggiungere), ma, per adesso, ci accontentiamo di trasmettere agli altri ciò che apprendiamo". In queste parole si coglie il destino di chi, nonostante tutto, è un profeta in patria: il suo desiderio di evasione non soddisfatto è, paradossalmente, la fortuna della sua arte, è la fortuna dei suoi stessi frequentatori. Senza questa prigione, non ci sarebbe "profezia", né profeta, ma solo un incolmabile vuoto. Il suo messaggio, certo figlio anche degli stimoli, delle sollecitazioni altrui, dell'esempio di maestri che hanno optato per altri percorsi più convenzionali – è del resto l'artista stesso a riconoscere questo debito -, il suo messaggio, si diceva, non sarebbe più lo stesso altrove, su altri lidi, su altre sponde. Nico ha baciato le amate sponde e se un giorno non potrà più farlo, se deciderà di trovare lontano delle risposte, sarà la città intera a "piangerne" la partenza. Nico propone, lui come pochi altri, in tempi così bui e tormentati, una certezza, un modello: L'ASCOLTO. La sua proposta è degna figlia di quella xenia di greca memoria che ha intriso profondamente queste terre fin da quando i progenitori della nostra civiltà le conobbero.
Il suo spiaggismo è un sistema totalizzante, una proposta per il nuovo secolo.
Un manifesto di esistenza.
* docente in materie letterarie
Un lascito del secolo appena trascorso - la scomparsa e la sconfitta di tanti -ismi che ne hanno segnato il corso - sembrava averci allontanato dai sistemi totalizzanti, capaci di strutturare in toto la visione della società, proponendo modelli assoluti, completi, pronti ad offrire una risposta per tutto e tutti, vere e proprie panacee per ogni male; sistemi fondati su una ipotetica e mal interpretata idea di solidarietà per il gruppo, di umile servizio per supremi destini.
Questa consapevolezza, largamente accertata dagli studiosi e avvertibile ancor più in momenti di così grande incertezza, non ha eliminato per altro la concreta possibilità di scoprire ancora, tanto in lande desolate come in plaghe così battute dal "commercio con la gente", strani e singolari modelli di pensiero, figli di una religiosità tutta laica, che nulla concede a ciò che non sia materia. Un esempio ne è lo spiaggismo, articolata Weltanschauung che ha trovato concretezza in una forma d'espressione assolutamente sconosciuta ai più consapevoli circuiti artistici, ma, non di meno, capace di covare sotto le ceneri, pardon, sotto le polveri della Costa d'Amalfi, pronta a far capolino e a far parlare di sé e a far discutere, ormai da anni, nei mesi in cui maggiormente la sferza del sole chiede il conto. Unico interprete, oltre che ideatore, ne è quel Nico D'Auria, raro artefice locale, che non manca mai all'appuntamento con il pubblico di fedeli e appassionati cultori della sua arte.
Lo spiaggismo rivela fin dalla sua stessa etimologia l'origine marinara, forse - si potrà sostenere fin d'ora - mercantile: ha precisi luoghi d'incontro, netti sentieri di espressione, chiari momenti di manifestazione.
È la terra inesplorata da una notevole schiera di artisti che pur ha frequentato o frequenta la Costa d'Amalfi; un modo singolare di rapportarsi a quel grande ispiratore qual è il mare, per dare forma e risposta - secondo le tecniche dell'intaglio o della macchia, della nuance o della ceramica - alle più concrete domande degli appassionati cultori.
Ed è da questo primo imprescindibile aspetto che bisogna partire per una corretta lettura dell'opera del Nostro. Essa infatti nasce dalla gente e, soprattutto, per la gente, nulla concedendo a stimoli puramente spirituali, a sollecitazioni profonde dell'anima. É un'arte fortemente volta all'essenzialità, alla più concreta praticità, senza arzigogolate astrazioni mentali fini a se stesse; è un'arte che parla il linguaggio dei suoi cultori, aperta agli stimoli, alle urgenze - si direbbe - che interessano i frequentatori dei luoghi.
Nico è l'artista delle genti, pronto a soddisfare i suoi fruitori: da questo punto di vista è un apostolo del feedback, del continuo riscontro con il suo pubblico; è, in sostanza, un degno figlio della società della comunicazione.
E in questa attenzione quasi morbosa per l'altro, trova modo di manifestarsi anche la cifra più profonda della sua opera: la sofferenza. In una recente intervista, il Maestro ha testimoniato che la sua "è un'arte malinconica, capace di racchiudere tutto il dramma di un uomo costretto a svolgere un vile lavoro, impossibilitato a dedicarsi ad altro". Con queste parole D'Auria conferma, qualora ce ne fosse stato bisogno, di essere perfettamente presente a se stesso, conscio di non potersi sottrarre ad un ruolo che gli è stato cucito addosso. "L'artista vorrebbe andare lontano, vorrebbe fuggire da questa condizione di vita drammatica...ma, come disse qualcuno: questa è una prigione senza cancelli...è difficile uscire da questo involucro". Questa toccante testimonianza sintetizza l'amaro destino di un uomo, un Ulisse cui è stata tolta la possibilità di soddisfare le più ardita e miracolosa qualità concessagli: la sete di conoscenza. Nico vorrebbe, ma non può, è ingabbiato in un ruolo, ma è in questo ruolo che dà prova della sua sensibilità. É il suo ulissismo represso, coartato, a determinare la sua arte: "Noi coltiviamo per tutta la vita la speranza della fuga (una fuga animata da sicura tensione conoscitiva, si dovrebbe aggiungere), ma, per adesso, ci accontentiamo di trasmettere agli altri ciò che apprendiamo". In queste parole si coglie il destino di chi, nonostante tutto, è un profeta in patria: il suo desiderio di evasione non soddisfatto è, paradossalmente, la fortuna della sua arte, è la fortuna dei suoi stessi frequentatori. Senza questa prigione, non ci sarebbe "profezia", né profeta, ma solo un incolmabile vuoto. Il suo messaggio, certo figlio anche degli stimoli, delle sollecitazioni altrui, dell'esempio di maestri che hanno optato per altri percorsi più convenzionali – è del resto l'artista stesso a riconoscere questo debito -, il suo messaggio, si diceva, non sarebbe più lo stesso altrove, su altri lidi, su altre sponde. Nico ha baciato le amate sponde e se un giorno non potrà più farlo, se deciderà di trovare lontano delle risposte, sarà la città intera a "piangerne" la partenza. Nico propone, lui come pochi altri, in tempi così bui e tormentati, una certezza, un modello: L'ASCOLTO. La sua proposta è degna figlia di quella xenia di greca memoria che ha intriso profondamente queste terre fin da quando i progenitori della nostra civiltà le conobbero.
Il suo spiaggismo è un sistema totalizzante, una proposta per il nuovo secolo.
Un manifesto di esistenza.
* docente in materie letterarie
giovedì 13 agosto 2009
Lo spiaggismo (manifesto culturale)
Lunga è la notte invernale, ma ancor più duro il ‘meriggio estivo.
Interminabile l’attesa, lungo la riva della costa (la deriva della vita).
Attraversammo notti insonni noi giovani utopici a maturar pensieri.
Insieme partorimmo l’idea della fuga.
Da questa spiaggia sulla quale siamo reclusi, condannati all’esilio culturale, impantanati nel luridume di quartiere, assenti da ogni discussione di spessore, malinconici ma non arresi, noi avvertiamo il disagio di trovarci fuori dalla dimensione che ci è consona.
Spiaggisti siamo.
Lo spiaggismo: presa di coscienza della nostra misera condizione terrena.
Una galera senza sbarre ove imprigionati nascemmo senza colpa e dalla quale invochiamo perdono, redenzione e salvezza.
Lo spiaggismo è il nostro ideale di speranza.
Il nostro pensiero è capace di utilizzare tutti i mezzi e le maniere di espressione artistica: letteratura, figurativismo, poesia, prosa, sproloquio, cinema ed architettura.
Noi spiaggisti invochiamo la fuga come reale soluzione ai problemi e ai dilemmi dell’umanità.
Siamo per il viaggio, per l’assenza di vincoli spaziali, per l’atemporalità assoluta.
Siamo nichilisti ed autarchici, indipendenti nel pensiero e nei gesti.
Siamo leggeri, elastici, dubbiosi.
Adoperiamo la metafora come mezzo di espressione corrente, il surreale e l’ironia come strumenti di lotta, aborriamo la speculazione politica e le sozzure di palazzo.
Siamo per il gesto sopra le righe, per necessità e vocazione, affinché si oda anche lontano la nostra voce così distante.
Coltiviamo la sofferenza per imparare a rifuggirne.
Ricerchiamo il piacere puro: della parola, della mente, del corpo.
Noi vogliamo scappare per essere al centro della terra.
Laddove ci siano orecchie e cervelli per intendere.
Noi spiaggisti, è là che vogliamo stare.
Christian De Iuliis (architetto)
Interminabile l’attesa, lungo la riva della costa (la deriva della vita).
Attraversammo notti insonni noi giovani utopici a maturar pensieri.
Insieme partorimmo l’idea della fuga.
Da questa spiaggia sulla quale siamo reclusi, condannati all’esilio culturale, impantanati nel luridume di quartiere, assenti da ogni discussione di spessore, malinconici ma non arresi, noi avvertiamo il disagio di trovarci fuori dalla dimensione che ci è consona.
Spiaggisti siamo.
Lo spiaggismo: presa di coscienza della nostra misera condizione terrena.
Una galera senza sbarre ove imprigionati nascemmo senza colpa e dalla quale invochiamo perdono, redenzione e salvezza.
Lo spiaggismo è il nostro ideale di speranza.
Il nostro pensiero è capace di utilizzare tutti i mezzi e le maniere di espressione artistica: letteratura, figurativismo, poesia, prosa, sproloquio, cinema ed architettura.
Noi spiaggisti invochiamo la fuga come reale soluzione ai problemi e ai dilemmi dell’umanità.
Siamo per il viaggio, per l’assenza di vincoli spaziali, per l’atemporalità assoluta.
Siamo nichilisti ed autarchici, indipendenti nel pensiero e nei gesti.
Siamo leggeri, elastici, dubbiosi.
Adoperiamo la metafora come mezzo di espressione corrente, il surreale e l’ironia come strumenti di lotta, aborriamo la speculazione politica e le sozzure di palazzo.
Siamo per il gesto sopra le righe, per necessità e vocazione, affinché si oda anche lontano la nostra voce così distante.
Coltiviamo la sofferenza per imparare a rifuggirne.
Ricerchiamo il piacere puro: della parola, della mente, del corpo.
Noi vogliamo scappare per essere al centro della terra.
Laddove ci siano orecchie e cervelli per intendere.
Noi spiaggisti, è là che vogliamo stare.
Christian De Iuliis (architetto)
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